L’isola pareva allo stesso tempo elegante e non finita, come una scultura ancora in fase di creazione nello studio di un artista. Marx vedeva arte ovunque, creatività espressa con libertà ma seguendo sempre delle linee fondamentali, che impedivano gli eccessi.
Non sapeva perché, ma gli venne in mente Venezia, anche se il paragone non era calzante, almeno per lo stile costruttivo. Da piccolo amava molto creare complesse costruzioni con il Lego e adesso, su quell’isola, ritrovava le stesse impressioni e sensazioni, moltiplicate però di un fattore cento.
“Pura architettura frattale” pensò improvvisamente.
I profili non erano mai netti e definiti, le curve parevano formate da infinite piccole rette, come coste ricche di minuscole insenature, tanto che non si distingueva chiaramente il liscio dallo scanalato, poiché entrambi mutavano a seconda della distanza di osservazione. Ogni forma pareva allo stesso tempo slanciata verso l’esterno e ripiegata su se stessa, quasi che lo slancio scaturisse ogni volta da un movimento interiore. I materiali più vari, dal legno alla ceramica, dal cemento al metallo, erano fusi in modo bizzarro con elementi naturali, come prati, cespugli, alberi, con un certo gusto estetico che sconfinava spesso nell’ironia e in un’esaltante ma controllata follia alla Salvador Dalì.