…una “sovrapposizione quantistica” di entrambi?
Ognuno ha il suo modo di narrare, di comporre musica, di pensare. Un caro amico ha scritto in una – bella – recensione che il mio modo di scrivere ricorda la mia musica. Se debba considerarlo un complimento (certo lo è nell’intenzione) o una critica, sta a chi legge – o a chi ascolta – deciderlo.
Certo è che la mia scrittura non è lineare, come qualcun altro ha criticamente sottolineato. Così come la mia musica non è prettamente melodica: semmai più “stratiforme”.
Scrittura istintiva: scrivere a cipolla
Ecco, a me piacciono gli strati, che nella musica diventano polifonia, poliritmia, politonalità; mentre nella scrittura possono diventare voci della wiki interna, glifi, musica, cambi di prospettiva, mutazioni stilistiche improvvise, sotto-trame corali e fittamente intrecciate.
Posso limitarmi, tentare di controllare il mio istinto per non diventare troppo criptico o dispersivo, ma non posso snaturare me stesso. È il modo con cui amo rappresentare la realtà: come complessità (che non è complicazione).
Quando scrivo o compongo lavoro per “pennellate successive” (sì Roberto Rizzardi, hai fatto centro come il miglior arciere zen) e questo modo di procedere comporta dei problemi. Il primo è che non ho mai un’idea precisa di dove la storia vada a parare, finché tutta la trama (questa volta intesa più come quella che accompagna l’ordito, in una metafora alla Robert Jordan) non si dipana nella mia mente. I personaggi agiscono con le loro emozioni e le loro logiche: così non mi resta che seguirli sperando che mi illuminino la via. Così come accade per gli eventi della storia, che a un certo punto sembrano succedersi indipendentemente dalla mia volontà.
Insomma “un gran guazzabuglio semantico”, come ho scritto altrove.
Scrittura schematica: l'avvento di OmniGraffle
Saga è stato e resta certamente fondamentale per organizzare gradualmente, storicamente e con i corretti collegamenti tutti i materiali senza perdermi o farmi sopraffare dall’ansia, ma tutto ciò non sarebbe sufficiente senza una precisa mappa concettuale.
Uso le mappe concettuali da tempo immemorabile senza essermi mai chiesto chi e quando le avesse definite e teorizzate per primo. Da Wikipedia (!) vengo a sapere che è stato Joseph D. Novak, teorico dell’apprendimento, a partire dagli anni 70. E non gliene saremo mai abbastanza grati.
La mia scelta software è ricaduta su OmniGraffle, programma sviluppato dalla OmniGroup, software house americana specializzata in prodotti per la produttività prima su piattaforma Next (l’antenato dell’attuale sistema operativo Apple) e quindi in ambiente Mac / iOs. Con OmniGraffle ho costruito lo schema che potete vedere a lato – se usate un computer o un tablet.
Viene mostrato a spezzoni anche in questa pagina, un po’ più grande e leggibile ma con le descrizioni delle scene nascoste: anticipare troppo (il neologismo spoilerare è sgraziato, ma ormai e d’uso comune) è brutto, non vi pare?
Beati monoculi in terra cæcorum
Perché non ho nascosto le descrizioni degli elementi nella parte destra dello schema? Perché quelle sono le voci della Wikinet interna e non possono suggerirvi nulla sullo svolgimento della storia.
La mappa, oltre a tenere traccia dello sviluppo della trama principale e delle sotto-trame, mostra tutti i collegamenti fra le scene e le relative voci della Wikinet interna (che chiamo “riferimenti”). A sinistra di ogni elemento un numero che lo identifica all’interno di Saga, come scena o come riferimento.
I titoli dei capitoli, come vedete, risentono della mia formazione musicale ma anche di un certo gusto nerd o geek, a seconda dell’accezione che date a tali termini (non vi è un reale accordo in merito).
Infine, ogni elemento è anche un link verso la corrispondente pagina Web, sia essa relativa alla scena o al riferimento della Wikinet interna.
Beati gli orbi nella terra dei ciechi.
Scrittura istintiva o schematica: cui prodest?
La mia non vuol essere certo una indicazione su come altri o altre debbano scrivere e sviluppare le loro storie. Né un semplice “guardate quanto sono nerd o geek”.
Piuttosto è un lungo e verboso sfogo personale, di cui spero mi perdonerete: dopo tanti anni di lavoro in cui mi sono arrovellato per combattere da una parte la mia secolare pigrizia, dall’altra la complessità della creazione di un mondo secondario dotato di una certa coerenza, rendervi partecipi di come vi sia riuscito – almeno, spero di esserci riuscito – è parte del processo di condivisione, che poi è il fine ultimo dell’autore: creare qualcosa di bello e coinvolgente, dare qualcosa di sé e ricevere in cambio la partecipazione emotiva e intellettuale di chi ne fruirà. Nel bene e nel male.
Il sogno di qualunque scrittore, appunto. Ma, alla fine, a chi giova?
Edoardo Volpi Kellermann